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martedì, aprile 29, 2008

I «MODELLI VIVENTI»: PRECARIATO IN UN SAPERE MINACCIATO

Ricordate la questione dei "modelli viventi? Ebbene qualche sviluppo c'è, ma non si vede, e neanche si intravede, ancora la soluzione....

Il Ministero dei Beni Culturali sta cambiando direzione,chissà se saprà affrontare e risolvere anche questo annosissimo problema di questi lavoratori che praticamente per "la tutela dei diritti dei lavoratori" non esistono?

alba

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Lettera sottoscritta da tanti docenti delle Accademie di Belle Arti di Roma, Firenze, Carrara, Venezia, Macerata, e consegnata, con le firme autografe, al ministero per l’Università il 30 gennaio 2008.


BELLE ARTI ADDIO?


Da anni e anni lavorano nelle Accademie di Belle Arti e Licei artistici del “bel paese” i «modelli viventi», che posano per gli studenti nelle scuole di pittura e scultura, nelle classi di figura disegnata e modellata. Questi lavoratori sono tutti precari. Se fino al ’99 erano dipendenti statali a contratto annuale e dopo 10 anni di servizio potevano chiedere il passaggio a custodi, in seguito cominciarono a chiedere il riconoscimento di titoli di studio superiori; nel ’99 i sindacati confederali contrattarono con il ministro che chi aveva piú di 5 anni di servizio e titolo di studio potesse passare, tramite esame, ad assistente amministrativo. Chi rimaneva a fare il modello, se aveva piú di 5 anni di servizio restava a contratto annuale – precario a vita; se con meno anni di servizio, rimaneva piú precario, con contratto a prestazione d’opera; chi era assunto dopo il 2000 era piú precario ancora, senza nemmeno diritto di riconferma – e qualcuno lavora cosí ormai da 7 anni. Per non parlare delle vie di “conoscenze” tramite cui si viene “reclutati”, delle a volte penose condizioni di lavoro, del non diffuso rispetto delle norme di sicurezza (L. 626) e delle tante “disponibilità” a cui molti sono costretti, nella speranza di essere riconfermati.

È stato penalizzato chi dà un senso a questo mestiere. E ne viene negata la professionalità. Perché questa è una professione e non un’improvvisazione: porre il corpo nell’immobilità della posa richiede impegno e disciplina, implica l’educazione in discipline collaterali (danza, ginnastica, teatro, etc.), nonché una cultura capace di immaginario artistico, per rendere la prestazione varia, flessibile, pregnante – e queste capacità si sviluppano e consolidano nel tempo, attraverso la stessa continuatività della prestazione lavorativa.

La condizione di precarietà dei «modelli viventi» non è oltre tollerabile, come la connessa mancanza di riconoscimento della loro professionalità – il che vale per tante altre situazioni, si può dire, ed è vero. Va, tuttavia, messa in evidenza la specifica gravità di questa situazione. Infatti, la precarietà e il disconoscimento della professionalità dei modelli fa parte di qualcosa di piú profondo, che è in corso da tempo: la svalutazione culturale del senso e del ruolo storico che le «Belle Arti» hanno avuto nel nostro paese, il declino di un sapere tramandato da piú di mezzo millennio. Per questo motivo è tanto piú necessario, oggi, nelle Accademie in via di trasformazione che vedono il ridimensionamento delle materie di insegnamento connesse alle «Belle Arti» a favore dei linguaggi multimediali, riconoscere la funzione che il modello dovrebbe avere a pieno titolo anche nell’insegnamento di anatomia artistica, in quanto conoscenza del corpo umano, della sua espressione e dei suoi movimenti. Una presenza, quella del «modello vivente», già richiesta infinite volte dai docenti di anatomia e che adesso acquista un senso – anche in connessione con il ripristino nei Licei artistici sperimentali dello stesso numero di ore di studio del «modello vivente» che nei Licei artistici tradizionali – in relazione al superamento della condizione di precariato dei modelli e quindi alla loro stabilizzazione lavorativa, nel riconoscimento della loro professionalità – tipologia di mansioni e profilo professionale, non assimilabili né al personale docente, né al personale amministrativo o di collaborazione scolastica.

I modelli rivendicano la stabilizzazione per porre fine, anche in questo campo, a quell’inciviltà che è il precariato. Ma la rivendicano, nello stesso tempo, perché anche cosí si concorrerà a porre un argine contro la tendenza al deperimento di quelle che sono le nostre radici culturali e artistiche – individuando nello studio del nudo uno strumento di educazione, un messaggio di rispetto per il corpo umano, al di là di un pullulare di immagini che lo sviliscono, riducendolo a oggetto di consumo e bloccando le facoltà immaginative –, e a mantenere una sensibilità, una capacità artistica che è nata nel nostro paese, che lo ha reso cosí importante nel mondo e che è ormai patrimonio dell’umanità.


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