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mercoledì, gennaio 24, 2018

Un restauro - Il Lazzaretto di Bergamo

Fin dalla metà del Trecento, a seguito della terribile “peste nera”, era sentita nelle città italiane la necessità della costruzione di un ospedale per gli appestati lontano dal centro abitato e collocato in posizione tale da evitare che l’aria infetta provocasse il contagio ai sani.

I numerosi studi dell’epoca, fra i quali ebbe particolare considerazione il “De preservatione a pestilentia” del milanese Cardone de’Spanzotis, evidenziavano infatti il carattere contagioso della peste, fino ad allora poco noto alla scienza medica. Era l’aere pestilenziale, la “mal’aria”, a provocare la corruzione putrida del corpo.

Il problema, rinviato nella prima metà del Quattrocento, tornò a presentarsi con urgenza durante le pestilenze che interessarono l’Europa nella seconda metà del secolo.

Fu Venezia la prima città a provvedere alla bisogna. Fin dal 1423 aveva destinato un’isola poco lontana dall’attuale Lido al ricovero di persone e merci provenienti da paesi infetti. Sull’isola esisteva una chiesa gestita dai frati eremitani dedicata a Santa Maria di Nazareth e forse proprio da tale dedicazione derivò il nome all’edificio che sembra sia stato originariamente chiamato “nazaretto”. A tale termine la sovrapposizione del nome del patrono dei lebbrosi, San Lazzaro, portò alla denominazione “lazzaretto” che fu estesa a tutti gli edifici successivamente destinati in Europa a tale uso. 

Nel 1468 in un’altra isola dall’altra parte della laguna fu edificato un lazzaretto nuovo destinato ad accogliere i malati sospetti, mentre al vecchio lazzaretto restava la funzione di ricoverare gli appestati accertati.

A Milano il lazzaretto fu realizzato tra il 1489 e il 1509 fuori Porta Orientale, nella zona posta a est del centro abitato. Sembra sia stata determinante ai fini della scelta del loco la considerazione della direzione dei venti dominanti che spiravano sulla città.

A Bergamo nel 1465, dopo discussioni e ripensamenti che dovettero durare a lungo, fu scelta per la costruzione del Lazzaretto la zona dell’attuale piazzale Goisis a lato dell’attuale campo sportivo. Esterna non solo alle mura antiche, ma anche alle muraine, l’area era sgombra di abitazioni, ma facilmente raggiungibile dai carri adibiti al trasporto dei malati. La presenza dei torrenti Morla e Tremana garantiva il necessario rifornimento d’acqua.

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[...] la posa della prima pietra del Lazzaretto, cerimonia avvenuta “con le debite et consuete solennità” e con gran concorso del clero e del popolo il 7 maggio 1504.

I lavori di costruzione si protrassero a lungo e l’edificio risultava terminato nel 1581. “Bellissimo, ben fatto et molto grando” lo definiva però già nel 1536 un visitatore friulano, prè Zuan de San Foca nei suoi appunti di viaggio, segno che la costruzione doveva essere all’epoca già molto avanzata.

Si presenta tuttora come un vasto recinto rettangolare di metri 132 per 129. Chiuso all’esterno era circondato in origine da un fossato perimetrale ora interrato. Nella struttura compatta si aprivano due ingressi contrapposti. Il principale posto sul braccio sud-est conserva il portale originale in arenaria, nella cui chiave di volta era leggibile la data 1504 affiancata nei pennacchi da due stemmi ancor oggi visibili. Un semplice arco in arenaria definisce l’accesso secondario, oggi, a quanto sappiamo non più utilizzato.

All’interno un lungo porticato perimetrale ad archi a tutto sesto su colonne in pietra introduceva alle celle, realizzate con tecniche moderne tali da consentire il massimo conforto ai ricoverati. Ognuna di esse si affacciava sul portico mediante una finestra e una porticina ad arco dotata di un battente di chiusura. Sulla parete di fondo un’altra finestra era situata in modo da favorire la ventilazione trasversale e un camino assicurava il riscaldamento.

Una nicchia separata, arieggiata da una piccola feritoia, ospitava il gabinetto costituito da una lastra in pietra con foro circolare e da uno scarico in coppi per l’evacuazione nella roggia esterna. Lo stesso condotto serviva un acquaio realizzato in pietra arenaria e sovrastato da un ripiano per il deposito del vasellame. In una seconda nicchia un’armadiatura a muro conservava le lucerne e gli strumenti necessari per l’illuminazione. Grazie a tali attrezzature, alla posizione delle finestre e soprattutto alla modernità dell’impianto fognario il Lazzaretto bergamasco risultava tecnologicamente più avanzato di quello milanese dal quale sicuramente aveva mutuato l’impianto e i criteri distributivi.

Tutta la struttura si situava a piano terra. Solo in corrispondenza dell’ingresso principale la costruzione era a due piani, ospitando l’abitazione del personale, l’alloggio dei frati e forse il refettorio.

Chiusa dal perimetro dell’edificio era “una pezza di terra aradora di pertiche sedici e mezza” al centro della quale si ergeva una cappella aperta, formata da un baldacchino con volta a crociera retta da quattro pilastri. La struttura e la collocazione ne permettevano la vista da tutte le celle. Dedicata ai Santi Giobbe, Rocco e Sebastiano, fu per delibera comunale il 18 agosto 1710 sostituita da una piccola chiesa, oggi non più esistente.

La costruzione del Lazzaretto risultò provvidenziale in occasione delle tre grandi epidemie che, come vedremo, colpirono la città nel 1524, nel 1576 e quindi nel 1629, la famosa peste descritta dal Manzoni. In tutti e tre i casi, ma soprattutto in quello della peste manzoniana, la struttura non risultò sufficiente a ricoverare tutti gli appestati così che si dovette ricorrere ad aree aggiuntive con la realizzazione temporanea di accampamenti di fortuna. Nel 1630 sicuramente nella zona triangolare tra porta Osio e porta Broseta. Visibile oggi in via San Lazzaro una santella con iscritta la data 1630.

Dopo aver assolto la funzione di ricovero prima per gli appestati e poi per i colerosi, l’edificio ebbe i più diversi utilizzi: mercato del bestiame, recinto per gli stalloni reali, magazzino, campo di concentramento per i prigionieri di guerra durante la Repubblica di Salò.

Oggi è sede di numerose associazioni. Le diverse destinazioni d’uso non hanno comunque alterato l’impianto originario, che rimane l’unico esempio in Italia, forse in Europa, di Lazzaretto conservato integralmente.



Andreina Franco Loiri Locatelli

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