Villa Palagonia
Una decifrazione dell’incubo
Comunicato stampa
Giovedi 24 dicemembre, vigilia di Natale, nel Settimanale di Bagheria uscirà un supplemento di 40 pagine costituito dal testo
Villa Palagonia. Una decifrazione dell’incubo,
tratto dall’ultimo capitolo del libro di Piero Montana BAGHERIA ESOTERICA.
In questo scritto Montana attua una vera
rivoluzione copernicana perché fondamentalmente la figura di Ferdinando
Francesco Gravina, Principe di Palagonia, non è più vista e studiata con gli
occhi della mentalità moderna, ma con quelli dell’epoca in cui visse il
principe.
Mettendosi al posto del Gravina l’autore descrive il trauma che l’aristocratico principe doveva quotidianamente vivere innanzi alla crescente affermazione delle idee illuministe che non potevano mettere in discussione, in crisi l’esistenza del principe, che inscenava, in maniera apotropaica ed in anticipo con i tempi, con la sua villa dei mostri tutto un teatro della crudeltà che veniva a prefigurare. Se il principe di Palagonia non conobbe il Terrore rivoluzionario, tuttavia molto prima che esso venisse attuato ne diede un’immagine impressionante all’interno della sua villa.
A riguardo lampante ci sembra la testimonianza di due viaggiatori stranieri, il conte de Borch e Patrick Brydone, il primo nelle Lettres sur la Sicile e Malta così scrisse riguardo a Villa Palagonia:
<<Da questa porta la balaustra prosegue e forma una specie di forma di cavallo che termina nel Palazzo. Tutta la parte alta della balaustra è ornata di idre simile all’idra di Lerna, senonché le teste variano continuamente di forma e di numero; la balaustra circonda un pozzo ed una fontana; guardando quei due oggetti si crede di essere stati trasportati nella stanza proibita di Barbablù; cento busti senza testa, cento teste staccate dal busto e sparse qua e là a caso farebbero di quel luogo un vero regno dell’orrore, una vera macelleria…>>
Certo in questa scena descritta da
Borch manca qualcosa ma su essa già si proietta l’ombra dell’orribile
marchingegno, l’ombra di quella ghigliottina che soprattutto il Terrore della
Rivoluzione francese avrebbe alacremente azionato ed inarrestabilmente messo in
opera.
Quando
Patrick Brydone, che è stato il primo viaggiatore straniero a mettere piede a
Villa Palagonia ci narra nella sua Lettera XXIV in Viaggio in Sicilia e
Malta che <<Quasi tutte le camere (della Villa) hanno il pavimento
fatto di lastre di marmo fine di diversi colori che sembrano tante lapidi
tombali>> può mai immaginare che esse si riferissero alla sepoltura di
tutti quei busti aristocratici senza testa, staccati dall’immaginaria
ghigliottina del Gravina che aveva forti poteri propri dei più dotati
sensitivi?
Identificato
dall’autore come l’iniziatore, finora
ignoto, del pensiero controrivoluzionario (De Maistre, Bonald, Lamennais,
Haller, Donoso Cortés), anche se il pensiero del principe, che detestava
le esemplificazioni chiarificatrici,
care alla divulgazione enciclopedica illuminista, rigorosamente non fu mai
espresso in parole o in scritti ma in un Liber Mutus ossia in un Libro di
pietra, Ferdinando Francesco Gravina
giuniore viene dunque a ricoprire con lo scritto di Montana non più il posto
dell’eccentrico, bizzarro e lunatico aristocratico, che finora gli era stato
esclusivamente riconosciuto, bensì un posto di primo piano nell’ambito di una
cultura europea a cui solo oggi si incomincia a guardare con rinnovato
interesse.
Fortemente
critiche infine sono le posizioni del saggista riguardo alla psichiatria che, senza
mai averne conosciuto la persona ugualmente ha voluto far del Principe un
malato, un alienato. Infatti non considerando la realtà simbolica dei mostri di
Villa Palagonia Emil Krapelin, uno dei padri della moderna psichiatria,
interessandosi ad essi ne rilevò l’affinità con i disegni dei catatonici
esemplificandoli in una fotografia inserita nel primo volume del suo trattato
di Psichiatria. Per Montana il fatto che i catatonici assumano sembianze di
statue, con una immobilità, inespressività, inacessibilità davvero alienante
nulla ha a che fare con la vera personalità del nostro principe, che in vita anche
da molti viaggiatori stranieri fu ritenuto sano di mente.
Risibile se
non assurda viene considerata dall’autore poi la strana diagnosi di due
psichiatri amburghesi, che pur non avendo visto il ritratto del principe, che
ci mostra una figura aristocratica affilata, smunta ma per niente brutta,
vengono ad ipotizzare una patologia psicotica del Palagonia che lo avrebbe portato
a esorcizzare il complesso della sua bruttezza, circondandosi addirittura di
<<amici turpi>> quanto lui.
Più ci si
addentra nella modernità tanto più vengono stravolti la figura e il pensiero
del nostro principe.
Un esempio?
Ecco cosa scrive Leonardo Sciascia nella sua introduzione al brutto libro
fotografico di Ferdinando Scianna La villa dei mostri: <<… Ma da
quale stato d’animo, da quale coscienza, esperienza e cultura sorse questa
specie di campo di annientamento (Villa Palagonia, sic!) in cui don Ferdinando
Francesco Gravina eleggeva di passare i suoi anni dal 1847 al1789, i più
luminosi del secolo (sic.1), gli anni della maturità di Voltaire e Diderot,
dell’Enciclopedia, quello di cui Talleyrand dirà che mai sapranno cosa sia la
gioia di vivere coloro che non li vissero? Come mai mentre il mondo si votava
alla grazia il Principe di Palagonia si Votava all’Orrore?>>
Come mai-
rispondiamo noi- l’acuto indagatore, in questo sì ammirevole di casi di mafia,
non sa egli stesso darsi una risposta quando avrebbe dovuto sapere trattando
del Principe di Palagonia di trovarsi innanzi allo spirito, alla coscienza di
un aristocratico del più insigne lignaggio, alla coscienza di un uomo
fortemente religioso, che non poteva non
osteggiare le nuove idee atee e laiche di quegli stessi “luminosi” illuministi
che avrebbero finito per sovvertire il mondo dell’aristocrazia portandola tutta
al patibolo?
E’ davvero strano
che un ingegno come quello di Sciascia identifichi il campo di annientamento
del Terrore rivoluzionario con villa Palagonia nelle cui ornamentazioni
mostruose il Principe voleva appunto con un acume di sensitivo prefigurarlo
nella sua interezza.
Ma questi
sono i segni dei tempi che dall’eredità dell’età della ragione traggono
origine.
Centro d’arte e cultura Piero Montana
Nessun commento:
Posta un commento