In Italia il percorso di transizione di genere prevede sia una lunga terapia psicologica che endocrinologica. Il momento più spiazzante arriva però quando, una volta conclusi tutti i passaggi obbligatori, si procede alla richiesta del cambio di identità nei documenti, per il quale l’iter burocratico prevede che un giudice del tribunale civile, debba procedere a riassegnare giuridicamente il genere del richiedente. Il giudice in questo caso però non si limita solo a prendere atto del percorso e della richiesta del soggetto, ma anche ha il potere di stabilire “discrezionalmente” se la persona è “abbastanza maschio” o “abbastanza femmina” per poter ottenere questa riassegnazione.
Nel caso di un uomo nato biologicamente donna, il giudice, non potendo per legge chiedere al soggetto di spogliarsi, può valutare il passaggio al genere maschile, prendendo in considerazione un elemento sessuale secondario come la barba e, in assenza di un viso adeguatamente barbuto, potrebbe rigettare la domanda.
Il primo paradosso è che non tutti i maschi cisgender hanno la barba folta e molti di loro se dovessero essere valutati in base a quella particolare caratteristica non è detto che avrebbero riconosciuto il genere che gli è stato attribuito alla nascita. È quindi decisamente anacronistico chiedere alle persone non cisgender di dover passare da uno stereotipo di genere ad un altro, senza permettergli di situarsi in una delle tante sfumature che il genere ha.
Questa cristallizzazione della dicotomia “maschio/femmina” ha la precisa funzione di ribadire il dominio del maschile. Il patriarcato ha determinato i generi utilizzando innumerevoli simboli e ad uno (il maschile) ha attribuito tutti gli elementi della forza e all’altro (il femminile) tutti gli elementi della debolezza, della fragilità e della volubilità.
Durante la performance, il giorno in cui è prevista la sentenza del giudice per stabilire se Francesco sia degno di essere maschio nei documenti, l’artista Filippo Riniolo, che a questa simbolica corona virile non tiene affatto, la dona al suo amico. Per gioco ma non per finta. Come se il maschile fosse la barba. Come se il genere si potesse passare o donare.
L’artista crea così una performance ironica dove l’imputato in attesa di giudizio diventa il patriarcato.
Un ringraziamento speciale a Paola Ugolini e Pietro Gaglianò per il dialogo fertile e generativo senza il quale non esisterebbe questo lavoro.
Grazie a Ultraqueer di TWM Factory per il sostegno.
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