ARTE E CREATIVITA'

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giovedì, gennaio 26, 2017

GIOVANNI CASTIGLIA AL MUSEO GUTTUSO

L’esperienza interiore di un pittore visionario
da Piero Montana

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Nell'immagine " Crudo Scarlatto", di G. Castiglia
Olio e smalto su tela, 2007

L’esposizione al secondo piano del Museo Guttuso di quattro opere di Giovanni Castiglia ci offre l’occasione per parlare della pittura di questo straordinario artista di Casteldaccia, che merita tra tanti un’attenzione particolare. Le opere in esposizione sono Domini Corpus, grafite su carta del 2011, Prua, olio su tela del 1992, Crudo Scarlatto, olio e smalto su tela del 2007, ed infine Nel tumulto, olio e grafite su legno del 2011. Le quattro opere sono bellissime ed assai significative perché rimandano alle carte, alle tele, ai legni ossia ai supporti sui quali da sempre l’artista ha dipinto, esprimendo pittoricamente in essi una sensibilità artistica fuori del comune. Questa sensibilità denota un amore esclusivo, maniacale per la buona pittura, che lo isola da altri interessi mondani. Ecco perché nei dipinti di Castiglia è da “leggere” una nuda e cruda confessione esistenziale. Quel che nell’opera di Castiglia è in gioco è il corpo mistico della pittura che è al contempo anche il corpo messo a nudo dell'artista. Da questa confusione tra corpo e materia pittorica nasce un contatto tra la ricerca artistica e quella alchemica dove il fuoco, uno degli elementi più sottili, è predominante. Sotto il segno del fuoco queste opere mettono il dito sulla piaga: la spiritualità dell'artista che confessa di vivere solo con la pittura, di non avere altro mestiere.
Castiglia come Antonin Artaud scarica la sua sofferenza, le sue tempeste interiori in pitture che sono icone di una sconfinata solitudine e di un dolore cieco, nudo, abbagliante.
Un dolore muto, non gridato. Un dolore che non sconfina mai dal quadro ma è in esso richiuso come in una prigione. Da questa prigione si eleva il canto di Castiglia che è quello dei prigionieri, dei carcerati di questo spazio chiuso, angusto che è il nostro mondo. È il dolore acuto dei dannati della terra che nelle opere di Castiglia si trasforma in canto: un inno all'assoluto, un inno all'assolutamente e radicalmente Altro dal mondo, un inno all' infinito inafferrabile il cui respiro tuttavia palpita, aleggia su tele, carte e legni impregnati di una materia pittorica sanguinante, che per certi versi richiama anche l’opera dell’amico Herman Nitsch.
Il sangue mistico che cola dalle pitture di Castiglia si trasforma per transustanziazione nel corpo lancinante di Cristo. L'avventura mistica del nostro pittore è la ricerca appartata, solitaria, monacale e del tutto personale del Santo Graal. Una ricerca nella materia attraverso il colore, le terre per estrarre da esse l'oro filosofale, la luce nella sua esplosione abbagliante. ( continua)

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